"Quando
siamo in "collera", il sangue ci affluisce alle mani e questo rende più
facile afferrare un'arma o sferrare un pugno all'avversario; la
frequenza cardiaca aumenta e una scarica di ormoni, fra i quali
l'adrenalina, genera un impulso di energia abbastanza forte da
permettere un'azione vigorosa.
- Se abbiamo "paura", il sangue fluisce verso i grandi muscoli scheletrici, ad esempio quelli delle
gambe, rendendo così più facile la fuga e al tempo stesso facendo
impallidire il volto, momentaneamente meno irrorato (ecco da dove viene
la sensazione che “si geli il sangue”).
Allo stesso tempo, il corpo
si immobilizza, come congelato, anche solo per un momento, forse per
valutare se non convenga nascondersi. I circuiti dei centri cerebrali
preposti alla
regolazione della vita emotiva scatenano un flusso di
ormoni che mette l'organismo in uno stato generale di allerta,
preparandolo all'azione e fissando l'attenzione sulla minaccia che
incombe per valutare quale sia la risposta migliore.
- Nella
"felicità", uno dei principali cambiamenti biologici sta nella maggiore
attività di un centro cerebrale che inibisce i sentimenti negativi e
aumenta la disponibilità di energia, insieme all'inibizione dei centri
che generano pensieri angosciosi. Tuttavia, a parte uno stato di
quiescenza che consente all'organismo di riprendersi più rapidamente
dall'attivazione biologica causata da emozioni sconvolgenti, non si
riscontrano particolari cambiamenti fisiologici.
Questa
configurazione offre all'organismo un generale riposo, e lo rende non
solo disponibile ed entusiasta nei riguardi di qualunque compito esso
debba intraprendere ma anche pronto a battersi per gli obiettivi più
diversi.
- L'"amore", i sentimenti di tenerezza e la soddisfazione
sessuale comportano il risveglio del sistema parasimpatico; in altre
parole, si tratta della mobilitazione opposta a quella che
abbiamo
visto nella reazione di “combattimento o fuga” tipica della paura e
della collera. La modalità parasimpatica, che potremmo anche chiamare
“risposta di rilassamento” si avvale di un insieme di reazioni che
interessano tutto l'organismo e inducono uno stato generale di calma e
soddisfazione tale da facilitare la cooperazione.
- Nella "sorpresa"
il sollevamento delle sopracciglia consente di avere una visuale più
ampia e di far arrivare più luce sulla retina. Questo permette di
raccogliere un maggior numero di informazioni sull'evento inatteso,
contribuendo alla sua comprensione e facilitando la rapida formulazione
del migliore piano d'azione.
- In tutto il mondo l'espressione di
"disgusto" è la stessa, e invia il medesimo messaggio: qualcosa offende
il gusto o l'olfatto, anche metaforicamente. Come già aveva osservato
Darwin, l'espressione facciale del disgusto - il labbro superiore
sollevato lateralmente mentre il naso accenna ad arricciarsi - indica il
tentativo primordiale di chiudere le narici colpite da un odore nocivo o
di sputare un cibo velenoso.
- La "tristezza" ha la funzione
fondamentale di farci adeguare a una perdita significativa, ad esempio a
una grande delusione o alla morte di qualcuno che ci era
particolarmente vicino.
Essa comporta una caduta di energia ed
entusiasmo verso le attività della vita in particolare per le
distrazioni e i piaceri - e, quando diviene più profonda e si avvicina
alla depressione, ha
l'effetto di rallentare il metabolismo. La
chiusura in se stessi che accompagna la tristezza ci dà l'opportunità di
elaborare il lutto per una perdita o per una speranza frustrata, di
comprendere
le conseguenze di tali eventi nella nostra vita e,
quando le energie ritornano, di essere pronti per nuovi progetti. Può
darsi che un tempo questa caduta di energia servisse a tenere i primi
esseri umani vicini ai loro rifugi - e quindi al sicuro - quando erano tristi e perciò più vulnerabili.
Queste inclinazioni biologiche a un certo tipo di azione vengono poi
ulteriormente plasmate dall'esperienza personale e dalla cultura. Ad
esempio, la perdita di una persona amata suscita universalmente
tristezza e dolore. Ma il modo in cui esterniamo il nostro lutto - il
modo in cui le emozioni sono esibite in pubblico o trattenute in modo da
esprimerle solo in privato - è forgiato dalla cultura; analogamente,
dipendono dalla cultura i criteri con i quali le persone vengono
classificate o meno nella categoria di quelle “amate” delle quali si
debba piangere la morte.
Il lungo periodo dell'evoluzione durante il
quale queste risposte emozionali si andarono forgiando fu certamente
caratterizzato da una realtà ben più dura di quella che la maggior parte
degli esseri umani si trovò poi a dover affrontare in quanto specie a
partire dagli albori della storia. Era un tempo in cui pochi bambini
sopravvivevano all'infanzia e pochi adulti
superavano i trent'anni;
un tempo in cui i predatori potevano colpire in ogni momento; un tempo,
infine, in cui il capriccioso alternarsi di siccità e inondazioni si
traduceva nello spettro
della fame o nella possibilità di
sopravvivere. Ma con l'imporsi dell'agricoltura e delle società umane,
anche molto primitive, le probabilità di sopravvivenza cominciarono ad
aumentare
sensibilmente. Negli ultimi diecimila anni, quando queste
conquiste si affermarono in tutto il mondo, le feroci pressioni che
avevano tenuto in scacco le popolazioni umane andarono costantemente
allentandosi.
Erano state quelle stesse pressioni a rendere le
nostre risposte emozionali così preziose per la sopravvivenza; quando
esse cessarono, venne meno anche il perfetto adattamento del nostro
repertorio emozionale. Se è vero che nel passato più remoto la
propensione alla collera poteva costituire un vantaggio di cruciale
importanza in termini di sopravvivenza, oggi che le armi
automatiche sono a portata di mano dei tredicenni una tale inclinazione può troppo spesso portare a reazioni disastrose."
(Daniel Goleman - Intelligenza emotiva)
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